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San Pietro

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Gli appartamenti sono situati a 900 metri dalla struttura, in aperta campagna dove ci sono anche i nostri vitelli nelle loro stalle. Forniamo servizio navetta ed eventuali altri servizi se necessario. Nel costo degli appartamenti non è inclusa la biancheria e le pulizie, questi servizi sono eventualmente disponibili a pagamento. Contattaci per saperne di più.

The apartments are located 900 meters from the property, in the open countryside where there are also our calves in their stables. We provide shuttle service and any other services if necessary. The cost of the apartments does not include linen and cleaning, these services are possibly available for a fee. Contact us to find out more.

Cenni Storici

Le origini di questa chiesa sono molto antiche, si sa che San Pietro “in Vallibus“, così era chiamata, esisteva ancor prima del 1112, al tempo di Gregorio e Clemente, monaci dell’abbazia benedettina di Farfa, che, per incarico dell’abate Beraldo, la ricevettero in possesso, con la consegna delle chiavi, dal conte Rapizzone, figlio di Guazza, unitamente ai terreni e ad un romitorio, insieme con le chiese di Santa Maria in Gallazzano e di Melezzole.

Intorno ad essa si sviluppò il castello di Castrum Vallis, che corrotto divenne Vagli, nel 1200 contava circa 160 abitanti che racchiusi dentro le sue mura o sparsi nelle case coloniche dei dintorni, formavano una delle numerose e laboriose comunità della montagna.

Coloro che crearono questo cenobio furono i benedettini di Farfa che si insediarono in un territorio occupato in gran parte dai camaldolesi in seguito alla suddetta donazione del conte Rapizzone degli Arnolfi e allo stesso tempo officiavano anche le chiese di Morruzze e Morre (cfr Regesto dell’Abbazia di Farfa); dipendeva da Farfa ed era situato appena fuori dell’attuale borgo di Vagli.

La donazione fu confermata sei anni più tardi dall’imperatore Enrico V.
Nelle vicinanze dell’Abbazia, nella Valcerasa, esisteva anche un eremo dedicato alla SS. Trinità accanto al quale si sviluppò una “Villa“; il sito era gestito dai Camaldolesi e dopo l’abbandono di questi, fu abitato e “curato” dai Benedettini con un priore e 4 monaci, provenienti dal monastero di S. Pietro in Vallibus.

Il 31 maggio 1118, Enrico V, imperatore del Sacro Romano Impero, confermando a Farfa il possesso dei beni e dei privilegi, elencava molte chiese del comitato tudertino e, tra queste, ancora due quote della chiesa di San Pietro e l’annesso romitorio.

Questa Abbazia, insieme a quella di San Bartolomeo della Canonica dei Figli di Fosco, nel 1285, partecipa alla raccolta di fondi per una crociata che non fu realizzata, promossa da Benvenuto, vescovo di Gubbio, nella sola diocesi di Todi.

In questa abbazia erano presenti monaci colonizzatori ed evangelizzatori con la presenza di un abate benedettino, il quale lo troviamo registrato come “dominus Petrus“nelle Rationes decimarum che pagava ai collettori le rate delle decime.
Riportiamo testualmente di seguito i pagamenti registrati:

8269 – Il 20 maggio 1275 registrato come “dominus Petrus” abate S. Petri de Valli de summa decime lib. VI minus XII cor. et VIII aquil. et unum romanin. de argento.

8396 – Item ab abbate S. Petri de Valli pro sua decima lib. VII et sol. XVIII et den. X cor.
8811 – Item habuerunt a conventu S. Petri de Valli pro eorum decima huius anni duos flor. De auro et VII tur. grossos et den. VIII cor. min.

9315 – Item habuerunt ab abbate S. Petri de Valli de summa decime V ro. cros. et XVI ven. et IIII tur. cros. et VI sol. et VI den. cort.

10197 – Ciccolinus famulus domini Francissci solvit pro domino … abbate ecclesie S. Petri de Vallibus VIII lib. et XI sol. pro quibus dedit I flor. auri, VII ancon., IIII venet., III volter., II sol. et X den. rav. , XI bonon. et XVIII den. cor. in presentia predictorum Guidarelli et Cresche.

L’ultima rata registrata così recita:
10410 – Domnus Petrus cappellanus ecclesie S. Petri de Vallibus solvit pro decima dicte ecclesie in dicto termino X lib. pro quibus dedit VIIII sol. et X den. raven. et VI den. cor. in presentia predictorum et solverat secundum comunem extimationem.

Una imposizione così alta, circa trenta libbre l’anno pagabili in due o più rate da maggio a dicembre, denota, tra l’altro, che il luogo dove Domnus Pietro visse ed operò insieme con il capitolo dei canonici Donadeo, Giovanni, Giacomo, e forse, Biagio, raccolti intorno al cenobio e alla chiesa, era notevolmente grande e prospero.

Decaduto il rigore di questi duri tempi, anche il costume degli abati si rilassò, fino al clamoroso caso di Domnus Giacomo che venne allontanato da qui nel 1427 dal vescovo di Todi per la sua vita scandalosa.

Più tardi, il 18 novembre 1574 il Camaiani, venendo dal castello di Acqualoreto per Collelungo, visitava quello che egli volle chiamare monastero, ma ancor meglio abbazia (“sed potius abbatiam“) che emergeva dai resti del chiostro ormai atterrato.
Questa visione e quella della chiesa umida ed esposta alle intemperie per i tetti disfatti e gli infissi rotti, confermarono nel buon prelato la triste impressione del più completo disfacimento dell’antica sede monastica e lo decisero pertanto a che venissero attuati, per il suo restauro, i primi urgenti interventi.

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